Dal 1° luglio datori di lavoro e committenti che corrispondono retribuzioni e compensi in contante rischiano una multa che va dai mille ai 5mila euro. Va in vigore, infatti, la disposizione, inserita nella legge di Bilancio, che vieta l’uso dei contanti per pagare lavoratori e collaboratori.
Poche le esclusioni, che riguardano: i rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni, compensi derivanti da borse di studio e da tirocini, rapporti autonomi di natura occasionale e il pagamento di colf, badanti e babysitter.
Gli strumenti di pagamento ammessi
Gli strumenti di pagamento ammessi per corrispondere compensi e retribuzioni, compresi i relativi anticipi, sono definiti dalla stessa legge di Bilancio (legge 205 del 2017, commi dal 910 al 914).
In particolare, sono ammessi:
• bonifico sul conto identificato dal codice Iban indicato dal lavoratore;
• strumenti di pagamento elettronici;
• pagamento in contanti presso lo sportello bancario o postale dove il datore di lavoro abbia aperto un conto corrente di tesoreria con mandato di pagamento;
• emissione di assegno consegnato direttamente al lavoratore o, in caso di suo comprovato impedimento, a un suo delegato.
Quando si applica il divieto di pagamento in contanti
Il divieto di uso del contante si applica ai rapporti di lavoro subordinato (art. 2094 del Codice civile), indipendentemente dalla durata e dalle modalità di svolgimento della prestazione lavorativa, ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa ed infine ai contratti di lavoro stipulati in qualsiasi forma dalle cooperative con i propri soci.
Esclusioni
Restano espressamente esclusi dal divieto di uso del contante, i rapporti di lavoro instaurati con le pubbliche amministrazioni e i rapporti di lavoro domestico, che includono il pagamento di colf, badanti e babysitter. Sono da ritenersi esclusi, secondo quanto chiarito dall’Ispettorato del Lavoro in un recente parere, anche i compensi derivanti da borse di studio, tirocini e rapporti autonomi di natura occasionale.
Violazione anche per bonifici effettuati e poi annullati
L’Ispettorato nazionale del lavoro mette in guardia anche da eventuali comportamenti volti ad aggirare la legge. La normativa – afferma l’Ispettorato – si intende violata anche nel caso in cui, nonostante l’utilizzo di sistemi di pagamento definiti dalla legge di Bilancio, «il versamento delle somme dovute non sia realmente effettuato». Ne è un esempio il caso in cui il bonifico bancario venga prima effettuato a favore del lavoratore e successivamente revocato oppure l’assegno emesso e annullato prima dell’incasso.
Inoltre, la firma apposta dal lavoratore sulla busta paga non costituisce prova dell’avvenuto pagamento della retribuzione.
Si allega:
Ispettorato del Lavoro, circolare numero 2 del 25 gennaio 2018