L’articolo 61 del Codice di Procedura Civile, prevede  che quando l’organo giudicante ha necessità di risolvere questioni tecniche che esulano dalle proprie competente, ma ritenute comunque utili ai fini della decisione, ha la possibilità di farsi assistere da uno o più consulenti tecnici (art. 61 Cpc).

La consulenza, quindi può essere ammessa solo quale ausilio per l’apprezzamento di quanto dedotto o eccepito ma, comunque, provato in corso di causa, ovvero per appurare circostanze conoscibili solo attraverso particolari cognizioni o con l’ausilio di peculiari strumenti tecnici. Il parere formulato dal consulente tecnico, tuttavia, non risulta vincolante per il Giudice di merito, il quale, infatti, può certamente trascurare in tutto o in parte le osservazioni del Consulente Tecnico d’Ufficio con l’obbligo, tuttavia, di motivare congruamente le ragioni che lo hanno indotto a tralasciare le valutazioni del consulente nominato.

Analogo potere è conferito al giudicante in relazione all’ammissione o meno della consulenza tecnica d’ufficio richiesta da una o entrambe le parti in causa, fermo restando che, anche in questo caso, sullo stesso grava l’obbligo di adeguata motivazione con la quale il Giudice dimostri di poter dirimere la controversia risolvendo correttamente i problemi tecnici alla stessa eventualmente connessi, senza limitarsi a rigettare una tale richiesta adducendo la carenza di prova in relazione ai fatti che l’ausiliare del Giudice avrebbe potuto accertare.

In caso contrario la sentenza risulterebbe affetta da un grave vizio di motivazione.

Questo il principio ribadito dalla Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con la sentenza n. 25851, pubblicata in data 16 ottobre 2018.

La Suprema Corte nel ritenere il motivo inammissibile evidenzia come la stessa <<ha ripetutamente affermato che “La decisione di ricorrere o meno ad una consulenza tecnica d’ufficio costituisce un potere discrezionale del giudice, che, tuttavia, è tenuto a motivare adeguatamente il rigetto dell’istanza di ammissione proveniente da una delle parti, dimostrando di poter risolvere, sulla base di corretti criteri, i problemi tecnici connessi alla valutazione degli elementi rilevanti ai fini della decisione, senza potersi limitare a disattendere l’istanza sul presupposto della mancata prova dei fatti che la consulenza avrebbe potuto accertare. Pertanto, nelle controversie che, per il loro contenuto, richiedono si proceda ad un accertamento tecnico, il mancato espletamento di una consulenza medico legale, specie a fronte di una domanda di parte in tal senso (nella specie, documentata attraverso l’allegazione di un certificato medico indicativo del nesso di causalità tra la sindrome depressiva lamentata e la condotta illecita del convenuto), costituisce una grave carenza nell’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito, che si traduce in un vizio della motivazione della sentenza” (tra le altre Cass. n. 17399/2015).>>.

Si allega copia della Sentenza

Sentenza n.25851-2018