Per la Cassazione, per far scattare il diritto alla provvigione basta che il mediatore abbia messo in contatto le due parti e che l’affare si sia concluso per suo tramite
Anche l’acquirente è tenuto a pagare il mediatore immobiliare se si avvale della sua opera sebbene lo stesso abbia ricevuto mandato a vendere dall’alienante. Per far scattare il diritto alla provvigione è sufficiente che il mediatore abbia messo in contatto le due parti e che l’affare sia stato concluso per suo tramite. È quanto afferma la Cassazione (con la recente ordinanza n. 26682/2020) confermando la condanna nei confronti del titolare di una ditta individuale che dovrà pagare alla società la provvigione dopo aver concluso direttamente con l’alienante il preliminare d’acquisto di un capannone industriale.
Il caso
Il giudizio trae origine dalla domanda, proposta innanzi al Tribunale di Bergamo dalla srl nei confronti del titolare della ditta individuale per il pagamento della provvigione per l’attività di mediazione svolta in suo favore. La società attrice espose di aver ricevuto l’incarico di vendere un capannone industriale in corso di costruzione, di aver incontrato più volte il titolare della ditta individuale e di avergli fornito, anche tramite fax le informazioni relative al prezzo di vendita e di avergli consegnato le tavole planimetriche del capitolato. Successivamente, l’uomo aveva concluso il contratto preliminare di compravendita direttamente con la società proprietaria ma la società richiede comunque la propria provvigione. Nel merito i giudici danno ragione alla società ritenendo l’attività svolta prodromica alla conclusione dell’affare, a nulla rilevando la circostanza che fosse stato concluso dopo mesi dai contatti avuti con il mediatore.
Il titolare della ditta individuale propone quindi ricorso innanzi al Palazzaccio ritenendo che la corte di merito abbia errato a qualificare il contratto nell’ambito della mediazione tipica mentre invece sarebbe configurabile contratto di mediazione atipica riconducibile nello schema del contratto di mandato sicché solo il mandante sarebbe obbligato a corrispondere la provvigione in quanto solo nei suoi confronti sussisterebbe il vincolo contrattuale.
Il dibattito
Per gli Ermellini tuttavia la tesi non regge.
La S.C. ripercorre innanzitutto il dibattito sorto intorno alla natura giuridica della mediazione, ricordando che “anche in presenza del conferimento di un incarico al mediatore, nell’ipotesi di c.d mediazione atipica, secondo una parte della dottrina, l’assenza di un obbligo, in capo al mediatore, di porre in essere la propria attività, rappresenta il carattere differenziale della mediazione dal mandato, che, invece, impegna il mandatario a compiere atti giuridici”.
Nel contratto di mandato, infatti, il mandatario è tenuto a svolgere una determinata attività giuridica, con diritto a ricevere il compenso dal mandante indipendentemente dal risultato conseguito e, quindi, anche se l’affare non sia andato a buon fine.
Nel contratto di mediazione, invece, il pagamento della provvigione, ai sensi dell’art. 1755 c.c. è strettamente connesso alla conclusione dell’affare.
“La rilevanza della conclusione dell’affare quale fondamento delle pretese di carattere patrimoniale del mediatore, del resto, emerge indirettamente anche dall’art. 1756 c.c., ai sensi del quale, salvo patti o usi contrari, il mediatore avrà diritto al rimborso delle spese nei confronti della persona per incarico della quale sono state eseguite, anche se l’affare non è stato concluso” prosegue la Corte.
“Dall’art. 1755 c.c. deriva, allora, che i soggetti intermediati, ponendo in essere il contratto di mediazione, non assumono alcun obbligo di pagare la provvigione quale diretto corrispettivo dell’attività posta in essere dal mediatore a loro vantaggio se non al momento della conclusione dell’affare. Il mediatore, interponendosi in maniera neutra ed imparziale tra due contraenti, ha soltanto l’onere di metterli in relazione tra loro e farli pervenire alla conclusione dell’affare, senza che la sua indipendenza venga sostanzialmente meno anche in ipotesi di incarico unilaterale ovvero di compenso previsto a carico di una sola delle parti”.
La decisione
Correttamente per la Cassazione, la corte di merito ha escluso che la mediazione atipica possa essere equiparata al contratto di mandato e lo ha fatto sulla base dell’esame del testo contrattuale, che non prevedeva in capo alla società “mandataria” degli obblighi ulteriori rispetto a quello di ricercare dei soggetti con cui perfezionare la compravendita, senza porre particolari vincoli al soggetto incaricato incompatibili con la posizione di imparzialità del mediatore.
Il giudice di merito, oltre a valorizzare la posizione di equidistanza dalle parti, “ha escluso in capo alla società mediatrice un vero e proprio obbligo giuridico di attivarsi al fine di reperire potenziali acquirenti, con eventuali ripercussioni negative in caso di inerzia, in quanto l’unica conseguenza prevista nel contratto era è la mancata percezione del compenso, sospensivamente condizionato alla stipula del preliminare di compravendita per effetto del suo intervento. Non era, infatti previsto, un diritto del mediatore a percepire un compenso per l’attività svolta a prescindere dalla conclusione dell’affare”.
Venendo alla posizione dell’acquirente, ha affermato infine la S.C., “nell’ipotesi di mediazione atipica, la giurisprudenza di legittimità, indipendentemente dalla natura contrattualistica o meno della mediazione, ha sempre riconosciuto al mediatore il diritto al compenso”.
Invero, parte della giurisprudenza ha rinvenuto il diritto al compenso nel “contatto sociale” con il mediatore, affermando che, a prescindere dalla natura contrattuale, o meno, della fattispecie disciplinata dagli art. 1754 ss. c.c., l’attività di mediazione ed il diritto alla provvigione sono conseguenza dell’incontro delle volontà dei soggetti interessati, che può avvenire attraverso dichiarazioni esplicite o per facta concludentia (cfr. Cass. n. 7251/2005). In taluni casi, la giurisprudenza della S.C. “ha ritenuto che non fosse necessaria l’esistenza di un preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma che fosse sufficiente che la parte abbia accettato l’attività del mediatore” (cfr. tra le altre Cass. n. 11656/2018).
Orbene, ha sentenziato quindi la Corte, “se è vero che, normalmente, il procacciatore d’affari ha diritto al pagamento solo nei confronti della parte alla quale sia legato da rapporti di collaborazione, è anche vero che tale ‘normale’ assetto del rapporto può essere derogato dalle parti, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, ben potendo il procacciatore, nel promuovere gli affari del suo mandante, svolgere attività utile anche nei confronti dell’altro contraente con piena consapevolezza e accettazione da parte di quest’ultimo. Di conseguenza, essendo il procacciatore di affari figura atipica, i cui connotati, effetti e compatibilità, vanno individuati di volta in volta, con riguardo alla singola fattispecie, occorre avere riguardo, in materia, al concreto atteggiarsi del rapporto, e in particolare alla natura dell’attività svolta e agli accordi concretamente intercorsi con la parte che non abbia conferito l’incarico” (cfr. tra le altre Cass. n. 12651/2020).
Per cui, bene ha fatto la sentenza impugnata a valorizzare i due elementi al fine di pervenire al riconoscimento del diritto alla provvigione in caso di mediazione tipica: ovvero la messa in contatto tra le parti e la conclusione dell’affare per il suo tramite.