I messaggi WhatsApp e e-mail, conservati nel telefonino e nel computer o tablet, vanno tutelati come la normale corrispondenza.
Ai sensi dell’art. 15 della Costituzione tali invii possono essere aperti ed utilizzati solo con motivato provvedimento dell’Autorità Giudiziaria.
Questo è il principio affermato dalla recente Sentenza della Corte Costituzionale n. 170 del 27 luglio 2023.
Pertanto, nelle controversie Tributarie, la Guardia di Finanza o l’Agenzia delle Entrate non possono utilizzare messaggi WhatsApp o email, prelevati dagli smartphone o dai computer o Tablet dei contribuenti, se non sono stati autorizzati da specifici e motivato provvedimento del Procuratore della Repubblica.
Tale sentenza della Corte Costituzionale è relativa ad una vicenda penale del Senatore della Repubblica Matteo Renzi.
La Corte Costituzionale, in particolare, ha chiarito che tali messaggi WhatsApp non possono essere intercettati da parte della Procura della Repubblica, se carenti dei seguenti presupposti:
“Affinché si abbia intercettazione debbono quindi ricorrere, per quanto qui più interessa, due condizioni.
La prima è di ordine temporale: la comunicazione deve essere in corso nel momento della sua captazione da parte dell’extraneus; questa deve cogliere, cioè, la comunicazione nel suo momento “dinamico”, con conseguente estraneità al concetto dell’acquisizione del supporto fisico che reca memoria di una comunicazione già avvenuta (dunque, nel suo momento “statico”).
La seconda condizione attiene alle modalità di esecuzione: l’apprensione del messaggio comunicativo da parte del terzo deve avvenire in modo occulto, ossia all’insaputa dei soggetti tra i quali la comunicazione intercorre.” .
In merito all’impossibilità di intercettare messaggi WhatsApp ed email la Consulta ha statuito che gli stessi sono assimilabili a documenti materiali come le lettere e pertanto sono considerati come corrispondenza.
Pertanto, i messaggi WhatsApp ed e-mail sono tutelati dalle disposizioni dell’art. 15 della Costituzione.
La Corte Costituzionale sul punto:
“In linea generale, che lo scambio di messaggi elettronici – e-mail, SMS, WhatsApp e simili – rappresenti, di per sé, una forma di corrispondenza agli effetti degli artt. 15 e 68, terzo comma, Cost. non può essere revocato in dubbio.
Posto che quello di «corrispondenza» è concetto ampiamente comprensivo, atto ad abbracciare ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza, questa Corte ha ripetutamente affermato che la tutela accordata dall’art. 15 Cost. – che assicura a tutti i consociati la libertà e la segretezza «della corrispondenza e di ogni altra forma di comunicazione», consentendone la limitazione «soltanto per atto motivato dell’autorità giudiziaria con le garanzie stabilite dalla legge» – prescinde dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del pensiero, «aprendo così il testo costituzionale alla possibile emersione di nuovi mezzi e forme della comunicazione riservata» (sentenza n. 2 del 2023)”.
Posta elettronica e messaggi inviati tramite l’applicazione WhatsApp (appartenente ai sistemi di cosiddetta messaggistica istantanea) rientrano, dunque, a pieno titolo nella sfera di protezione dell’art. 15 Cost., apparendo del tutto assimilabili a lettere o biglietti chiusi. La riservatezza della comunicazione, che nella tradizionale corrispondenza epistolare è garantita dall’inserimento del plico cartaceo o del biglietto in una busta chiusa, è qui assicurata dal fatto che la posta elettronica viene inviata a una specifica casella di posta, accessibile solo al destinatario tramite procedure che prevedono l’utilizzo di codici personali; mentre il messaggio WhatsApp, spedito tramite tecniche che assicurano la riservatezza, è accessibile solo al soggetto che abbia la disponibilità del dispositivo elettronico di destinazione, normalmente protetto anch’esso da codici di accesso o altri meccanismi di identificazione.”
“Degradare la comunicazione a mero documento quando non più in itinere, è soluzione che, se confina in ambiti angusti la tutela costituzionale prefigurata dall’art. 15 Cost. nei casi, sempre più ridotti, di corrispondenza cartacea, finisce addirittura per azzerarla, di fatto, rispetto alle comunicazioni operate tramite posta elettronica e altri servizi di messaggistica istantanea, in cui all’invio segue immediatamente – o, comunque sia, senza uno iato temporale apprezzabile – la ricezione.” (Cost. n. 170/2023).
Si allega la Sentenza Corte Costituzionale n.170/2023