Il progettista, che attesti, nella planimetria e nella relazione illustrativa allegate alla domanda di permesso di costruire, una falsa destinazione d’uso dell’opera o che, più in generale, rediga planimetrie finalizzate alla domanda per il rilascio del permesso di costruire non corrispondenti alla realtà, commette un reato.
In materia edilizia infatti il legislatore ha previsto, in capo ai progettisti, obblighi e responsabilità del tali da conferire loro il ruolo di garanti del rispetto delle norme in materia. Questa posizione di garanzia, assunta nell’interesse della pubblica amministrazione, può comportare, in caso di violazioni alle normative , delle responsabilità di carattere disciplinare e penale.
Il legislatore impone al professionista abilitato (ingegnere, architetto o geometra iscritto ad un albo professionale) ad una serie di accertamenti di conformità e riconosce il ruolo di soggetto esercente un servizio di pubblica necessità, ruolo dal quale discendono delle responsabilità in campo penale.
Il comportamento sanzionato penalmente che si può attribuire al tecnico, a fronte del ruolo assunto è connesso dunque all’attività di certificazione che può comportare, se non eseguita in modo veritiero, la commissione di reati contro la fede pubblica.
Nei procedimenti amministrativi per il rilascio del permesso di costruire, così come in caso di Dia/Scia il tecnico progettista deve presentare una relazione di asseverazione che ha valore di certificazione.
La Corte di Cassazione, Sez.III, con la Sentenza n.10917 del 01 aprile 2020, ha nuovamente evidenziato, che il reato di cui all’art. 20, comma 13, Dpr 6 giugno 2001, n.380, che punisce le false dichiarazioni o attestazioni o asseverazioni circa l’esistenza dei requisiti e presupposti per il rilascio del permesso di costruire, ha un ambito applicativo che si sovrappone interamente alla fattispecie di falso ideologico in certificati commesso da persone esercenti un servizio di pubblica necessità (art. 481 cod. pen.) e di falsità ideologica commessa dal privato in atto pubblico (art. 483 cod. pen.), di cui assorbe il disvalore, e si consuma quando oggetto di asseverazione non siano esclusivamente fatti che cadono sotto la percezione materiale dell’autore della dichiarazione, ma giudizi.
Si allega la Sentenza